Il
Silenzio era chiaro, solo la sua musica e quello spazio vuoto, libero dalle
parole, libero dal ritmo, tra una canzone e l’altra, era l’ora giusta, l’ora in
cui si sentiva in sintonia con il mondo. Abbassò lo sguardo sul suo polso sinistro,
c’era solo la retroilluminazione bassa dello schermo a rompere quel nero che
aveva intorno, sì, decisamente era l’ora giusta.
Si
alzò dalla scrivania e decise di cambiarsi facendo meno rumore possibile,
qualcosa di comodo, giusto per fare due passi, forse anche un maglione sarebbe
servito, era freddino verso quell’ora, un po’ alla volta il piano iniziò a
delinearsi nella sua testa, le sinapsi iniziavano a fare processi strani, forse
per la stanchezza, forse per l’ora, preparò il caffè, mentre la caffettiera si
scaldava e l’acqua al suo interno iniziava a muoversi si accese una sigaretta.
Tra una boccata e l’altra iniziò a guardare fuori dalla finestra, nel buio,
quelle piccole luci che spaccavano il ritmo del momento, iniziò a perdersi nel
flusso, almeno finché la caffettiera iniziò a sbuffare riportandolo alla realtà,
trasferì il contenuto della caffettiera in un thermos, lo mise dentro uno
zainetto, ricordò di recuperare le chiavi e uscì di casa, stando ben attento a
non fare troppo rumore con la porta d’ingresso.
In
strada non c’era nessuno, non sentiva nessuno, qualche macchina in lontananza,
qualche rumore difficile da identificare rompeva malvolentieri la cappa di
silenzio che vestiva quel momento. Mentre camminava pensava a come amava quest’ora,
quanto lui ci si sentisse attaccato, quanto si vedesse dentro quella
tranquillità. Il suo cervello era tutto ed era niente, era concentrato su mille
cose, ma il pensiero che prevaleva sugli altri era quello del passo, un passo,
un altro passo, uno ancora, avanti, su. Mentre si avvicinava al suo obbiettivo,
pensava che, forse, la notte era sottovalutata, forse era proprio la luce a essere
considerata troppo importante, forse la necessità di riempire il silenzio era
sopravvalutata, forse era meglio il silenzio. Forse.
Un
altro passo.
Uno
ancora.
Mentre
camminava si accese un’altra sigaretta e iniziò a osservare mentre a ogni
respiro il tizzone della sigaretta che andava in cenere si colorava di un rosso
ancora più acceso, ma inesorabilmente si consumava, più luce, più colore, si
accorciava. Camminava lasciandosi indietro pensieri strani e nuvolette di fumo,
come a fare da traccia, mentre il fumo si diradava, forse quelle nuvolette
contenevano una parte di sé, forse un po’ di pensieri.
Era
arrivato al suo obbiettivo e come programmato non c’era nessuno, oh se amava
quell’ora. Si sedette su una panchina a caso, si tolse lo zaino dalle spalle
mentre il vento pungente gli pungeva il viso, l’aria salmastra gli era
penetrata nelle narici e il rumore delle onde che colpivano i frangiflutti lo
facevano sentire quasi a casa.
Rimase
fermo a rispettare quel momento per troppo tempo. Era come bloccato. Il tempo
continuava a scorrere, restava comunque poco, nonostante fosse trascorso. Era
arrivato il momento. Aprì lo zaino, tirò fuori il thermos e se ne versò una
tazza usando il coperchio. Era ancora caldo. Quel contrasto tra il vento, il
freddo, il suono del mare e il liquido caldo che gli scendeva per l’esofago era
perfezione pura. Eppure sentiva che c’era vuoto. Non era triste, ma sentiva che
mancava qualcosa, guardandosi intorno capì: era l’unico che stava apprezzando
quel momento. Nessuno aveva avuto la sua stessa idea o la stessa volontà di
farlo, forse era l’unico in grado di farlo, forse era strano, ma per lui ne era
valsa tutta la pena.
Restò
lì fermo ad assaporare quel momento, riusciva a vedersi dal di fuori, si
sentiva bene, si sentiva nel suo posto, nel suo ambiente.
Amava
quell’ora, ma forse era l’unico. Forse per quello l’amava.
Abbassò
lo sguardo verso il polso sinistro e guardò l’orologio, il tempo era passato.
Quasi
non si accorse della figura che si stava avvicinando nella penombra.
La
figura si sedette sulla stessa panchina. Lui passò all’ombra il thermos e la
figura ne prese un sorso.
Intanto
rimase a fissare il mare scuro.
“Sapevo che ti avrei trovato qui”.
Lui
sorrise con il coperchio vuoto tra le mani.
“E
usa la caffettiera più grande la prossima volta”.
Forse.
Forse lo avrebbe fatto.
Amava
quell’ora. Forse perché era l’unico. Forse perché in realtà stava parlando alla
sua mente ed era solo sulla panchina con i suoi pensieri. Forse.
Si
accese un’altra sigaretta mentre il sole iniziava a fare capolino tra le onde e
quella timida luce prendeva lo spazio di quel buio che cedeva rispettosamente
il passo. Stava per iniziare un altro giorno.
Forse.